terça-feira, 21 de outubro de 2008

lA pIETRA pSICHEDELICA*

Alla scoperta di "Paêbirú", mitico "disco maledetto" di Lula Côrtes e Zé Ramalho, a 33 anni dalla sua prima pubblicazione. Scampato all'inondazione di Recife, oggi è il vinile più caro in Brasile

DI CRISTIANO BASTOS

Il 29 de dicembre del 1958 i soldati guidati dal capitano maggiore dello Stato di Paraíba, Feliciano Coelho de Carvalho, incalzavano gli indios potiguares (indigeni stabiliti tra il fiume Paraíba) quando, durante il percorso, tra le falde della Serra da Copaoba (Planalto de Borborema), un imponente segno di ancestralità preistorica si mostrò alle truppe.

Ai margini del letto del rio Araçoajipe in secca, un enorme monolito rivelava, ai soldati stupefatti, strani disegni scolpiti nella roccia cristallina. L'insediamento rupestre era situato tra le pareti interne di una caverna (formata dalla sovrapposizione di tre rocce), e mostrava, in bassorilievo, caratteri risalenti a una cultura estinta da molto tempo. I graffiti consistevano in rappresentazioni di spirali, croci e anche cerchi tagliati, posti nella piattaforma inferiore del monumento rupestre.

Eccitato dalla scoperta, Feliciano ordinò una minuziosa ispezione, chiedendo fossero ricopiati tutti i caratteri. L'episodio è descritto nei "Diálogos das grandezas do Brasil" (Dialoghi sulla grandezza del Brasile), opera pubblicata nel 1618. L'autore, Ambrósio Fernandes Brandão (a cui Feliciano Coelho confidò la sua scoperta), interpretò i simboli come «figure di cose venture». Non si sarebbe ingannato. Il sacerdote francese Teodoro de Lucé scoprì, nel 1678, sullo stesso territorio paraibano, un secondo monolito, mentre si recava in missione gesuitica presso l'accampamento di Carnoió. Le sue scoperte furono riportate nella "Relação de uma missão do rio São Francisco", scritto dal frate Martinho de Nantes, nel 1706.

Nel 1974, quasi 400 anni dopo la scoperta del capitano maggiore di Paraíba, questi «simboli di cose venture», rispuntarono. Questa volta tramite la forma e le sembianze arrotondate di un disco in vinile. La più ambiziosa e fantasiosa incursione psichedelica di musica brasiliana, il long playing "Paêbirú: Caminho da Montanha do Sol", inciso dall'ottobre al dicembre di quell'anno da Lula Côrtes e Zé Ramalho negli studi della casa discografica di Recife Rozemblit.

Raccontare la storia dell'album lontani dagli incroci di persone, suggestioni sonore e, soprattutto, dalla cosiddetta «Pedra do Ingá» (Pietra di Ingá, ndr) che lo ispirò, è impossibile. E' ironico che anche l'Lp originale di Paêbirú si sia trasformato in «reperto archeologico», così come la pietra, 33 anni dopo la sua pubblicazione. Le storie sulla produzione del disco, come quando naufragò nell'inondazione che sommerse Recife, nel 1975, e alla fine fu salvato, sono affascinanti.

La stampa di Paêbirú fu unica: 1300 copie. Mille di esse, letteralmente, furono sommerse dall'acqua. La calamità arrivò vicino alla copia master del disco in modo che la tragedia fosse quasi completa. Miracolosamente in salvo rimasero soltanto 300 esemplari. Ben conservato, il vinile originale di Paêbirú (l'etichetta inglese Mr Bongo l'ha ripubblicato su vinile quest'anno) è attualmente disponibile a un costo di più di 4mila real. E' l'album più costoso di musica brasiliana. Sbanca, in termini monetari (su quelli sonori è discutibile), l'"inarrivabile" Roberto Carlos. Il «Re» occupa il secondo posto con "Louco por Você", primo disco della sua carriera, disponibile a circa metà del prezzo dell'"eccentrico" Paêbirú.

La spedizione sulle tracce dei misteri e le favole di Paêbirú inizia a Olinda (Pernambuco). L'artista plastico paraibano Raul Córdula mi riceve nel suo atelier. Sulla parete del soffitto storico, un cobra dipinto serpeggia anche in un quadro dipinto dallo stesso. L'insegna è stata decorata con la stessa iscrizione scolpita, da millenni, sulla Pedra do Ingá.

Nello stesso anno di Louco por Você, 1961, il professore di Geografia Leon Clerot fece conoscere il monumento a Córdula. Il professore lo invitò: «Mi accompagni, e vedrà cose che non dimenticherà più». Un decennio dopo, 1972, Raul Córdula divenne amico di José Ramalho Neto, il giovane Zé Ramalho di Paraíba. I conterranei si conobbero al bar Asa Branca, di cui Córdula era proprietario nella capitale, João Pessoa: «L'unico locale dell'intera Paraiba che rimaneva aperto dopo le otto di sera, grazie allo "stipendio" pagato dai poliziotti». Lo Zé Ramalho compositore, afferma, sarebbe nato all'Asa Branca.

Córdula voleva mostrare a Ramalho «qualcosa che conoscerà», e organizzò un incontro nel comune di Ingá do Bacamarte, località conosciuta anticamente come Vila do Imperador (Città dell'Imperatore), a causa del passaggio di Don Pedro II da quelle parti. La localizzazione di Ingá do Bacamarte è a 85 chilometri da João Pessoa, sulla strada litoranea, nella zona di confine tra la prateria e il deserto. Per «fare il viaggio», Córdula invitò anche l'artista di Recife Lula Côrtes, giovane che aveva già vissuto numerose avventure. Ma quella, proposta da Raul, ancora no.

Nessuna sorpresa per la guida il fatto che Côrtes e Ramalho fossero tanto meravigliati per la roccia lavorata quanto i soldati del capitano maggiore di Paraíba. Il rebus intagliato sulla parete di pietra lanciava loro una provocatoria sfida: come avrebbero potuto decifrare quei segni arcani - mai compresi e così maestosi - con una musica che, se non li codificasse, almeno rendesse omaggio alla remota ancestralità brasiliana? Fuori di essa vi era un bagliore che incendiava le idee. Accampati sulla pista desertica, faccia a faccia con la Pedra do Ingá, Ramalho e Côrtes decisero di produrre un «album concept».

L'unico modo di conoscere Lula Côrtes è di andare a trovarlo nel suo habitat: l'atelier a Jaboatão dos Guararapes. «La patria è nata qui», recita una enorme targa al confine con la capitale, Recife. L'appartamento dove abita, dipinge e compone con il suo gruppo attuale, "Má Companhia", possiede una vista diretta sull'Oceano Atlantico.

E' al primo stringersi di mani che Côrtes dimostra la sua vera natura: «spirito indomito». Basta una sua frase che fa riflettere: «Il mare e io siamo una cosa sola da quando ero bambino». A 60 anni, la sua voce è profonda e nasale. La testa calva, un tempo rivestita da neri capelli arabescati. E la magra, ma resistente, corporatura rimanda all'uomo ostinato del film "Il vecchio e il mare". Lula comunque giudica il vecchio di Ernest Hemingway «troppo altruista». Rimase più impressionato dal nietzchiano capitano Lobo Harsen de "Il lupo di mare", romanzo di Jack London. Gli archetipi di London, difatti, combinano di più con lui: «Sono nato sulla riva del mare. Mi svegliò per il compimento delle mie fantasie. Su di esso, un giorno, cacciai le balene», racconta orgoglioso.

E' quest'uomo che seguita a narrare la più omerica giornata della sua vita, fino a oggi: il concepimento dell'album Paêbirú. Guidati dal compagno più anziano, Raul Córdula, Zé Ramalho e Lula Côrtes, diventati amici, intuirono subito la fantastica mistica che le iscrizioni della Pedra do Ingá esercitavano sulla popolazione circostante il sito archeologico.

Fu per mezzo dell'architetto, oggi regista, Kátia Mesel, sua compagna all'epoca, che Lula Côrtes fece conoscenza con Zé Ramalho. La coppia fondò l'etichetta Abrakadabra, pioniera nella produzione di musica indipendente in Brasile. "Sede" della casa discografica era la dipendenza di un immobile appartenente al padre di Kátia che, ai tempi della schiavitù, era un senzala (gruppo di case destinate agli schiavi, ndr).

Per tuffarsi nella saga di produzione che si rivelò Paêbirú, è necessario che prima si accenni alla semplicità dello strumentale "Satwa", l'album realizzato, un anno prima, da Côrtes e il chitarrista Lailson de Holanda.

E' il debutto dell'etichetta Abrakadabra. Lula fa conoscere discograficamente la sua chitarra popolare marocchina, il tricórdio, strumento che aveva portato dal recente viaggio in Marocco con Kátia. In Satwa, la chitarra nordestina a 12 corde di Lailson dialoga in perfetta sincronia con la melodia orientale del tricórdio di Lula. E', probabilmente, l'incontro più riuscito tra il folk e la psichedelia di cui si ha traccia nella musica brasiliana.

Lailson, apprezzato cartoonista, spiega: «Satwa è un'espressione dal sanscrito: significa «scambio e equilibrio». Nel 2005, l'etichetta nordamericana Time-Lag Records ha rimasterizzato Satwa. Soltanto il titolo, in realtà, è stato modificato: Satwa World Edition. Come previsto, la riedizione è stata giudicata magica.

Dopo Satwa, Lula desiderava dedicarsi alle sue composizioni musicali. Si giudicava idoneo al grande progetto che stava tramando con il compagno Zé Ramalho dai tempi della visita alla «pietra incantata». Non persero tempo e investirono in serie ricerche nei dintorni. Cercavano un'interpretazione locale, popolare, mitologica dell'ammirevole monolito inciso.

Nelle adiacenze viveva un gruppo di indios cariri. I musicisti andarono da loro, attratti dalla peculiarità del loro tipo di musica. Ascoltando, scoprirono che le tracce di cultura africana si fondevano con le sonorità degli indigeni.

Come descritto nelle risultanze archeologiche, Zé Ramalho e Lula Côrtes concordarono che, da quel momento, vi sarebbe stato un percorso che partiva da São Tomé das Letras (dove esistono tracce della medesima inscrizione rupestre tracciata sulla Pedra do ingá) e che conduceva fino a Machu Picchu, in Perù. La musica che i cariri chiamavano di «Peabirú».

Arivare alla mitica Pedra do Ingá, oggigiorno, è semplice. Seguendo la Br 101, sulla direttrice Recife-Paraíba, le condizioni di traffico sono accettabili, per quanto la strada sia su un'unica carreggiata. Attraverso la strada federale si incrociano piccole località: Abreu e Lima, Goiana, Itambé, Jupiranga, Itabaiana, Mojeiro. Fondata dall'Istituto del patrimonio storico e artistico nazionale (Iphan), Pedra do Ingá (Pedra Lavrada, o Itaticoara) è uno tra i siti archeologici più interessanti al mondo. L'archeologo Vanderley de Brito, della Società paraibana di Archeologia, attende già il mio arrivo in luogo.

Secondo lui, le inscrizioni sono davvero di società preistoriche, native e anteriori a quelle scoperte in Brasile dagli Europei. «Certamente queste incisioni», dice indicando l'immensa parete di roccia, «sono opera di sacerdoti o pajes (stregoni, ndr). E riferite a riti magico-religiosi di sortilegi fatti dalla tribu», spiega Brito con la sua competenza.

Avvicinatosi alla pietra ma senza toccarla, l'archeologo continua la sua spiegazione: «Le raffigurazioni registrano il canto magico scandito dai sacerdoti durante le cerimonie», commenta. La pietra, secondo l'archeologo, sarebbe per i nativi un «mezzo di comunicazione» con gli dei (o le dee) della natura. Secondo stime scientifiche le incisioni risalgono a tremila - seimila anni fa. «Non è possibile darne una datazione esatta poiché le ricerche non sono ancora terminate», precisa il professore. Vestigia incidentalmente lasciate dagli scolpitori nel cingere la pietra, sono state trascinate nell'oltrepassare le acque dell'anziano Araçoajipe.

Dinosauri, l'archeologo conferma ancora, hanno abitato la regione. La probabilità - per nulla prosaica - di bagnarmi nel bacino in cui, in un giorno qualunque della preistoria, un tirannosaurus rex beveva metri cubi di acqua, passa ora da un'esperienza giornalistica a un'avventura che, con piacere, mi obbligo a mettere in pratica.

L'acqua è tiepida. Una sensazione da brivido. «Animali di grande portata, come la preguiça e il tatu-gigante, nel periodo mesozoico, hanno abitato la regione. Mastodonti, cavalli nativi e anche altri mega-animali circolavano da queste parti», ricorda. Sommerso nella tepidità di suggestioni preistoriche, una galleria del tempo dentro la mia testa immaginava di vagare per mondi arcaici dispersi nella vastità temporale.

Davanti al mare, a Lula Côrtes piace accreditarsi nell'epopea interplanetaria narrata in "Trilha de Sumé", il brano di apertura di Paêbirú. «Le incisioni sulla Pedra do Ingá sono state fatte davvero con i raggi laser», afferma l'artista, che canticchia l'introduzione della musica, l'allineamento dei pianeti: «"Mercúrio/Vênus/Terra/Marte/Júpiter/Saturno/Urano/Netuno e Plutão». I versi seguenti celebrano la saga di Sumé, «viaggiatore lunare che scese su un raggio laser e, con la barba rossa, disegnò nel petto la Pedra do Ingá».

In ciascuna scoperta che facevano nelle loro ricerche, Côrtes e Ramalho notavano, nella varietà di leggende, che tutte si riferivano a Sumé - entità mitologica che aveva trasmesso conoscenze agli indios prima dell'arrivo dei colonizzatori. «Tutti gli indizi portavano a Sumé. Persino le palme della regione, laggiù, erano chiamate «sumalensi», osserva Lula.

Per "liberare" gli indigeni dalle credenze pagane, i gesuiti trasformarono Sumé in «santità»: diventò São Tomé. Il che spiega, nel Nordest, il perché molte località siano state chiamate São Tomé. «Qui è il posto di São Tomé!», erano usi annunciare i padri all'arrivo in una nuova regione.

In Paraiba, vi è ancora una città chiamata Sumé. «Sia là che esista Sumé, ciò che più si sa, intanto, è che molto psssò da questi gruppi musicali», scherza Raul Córdula. Ad onta della evangelizzazione cattolica, la memoria del Sumé indigeno rimane viva in tutto il Nordest.

La credenza indigena secondo cui, quando il pacifista Sumé rimase fuori, espulso dai guerrieri tupinimbá di quelle terre, lasciò una serie di fessure intagliate nelle pietre in mezzo al cammino. Gli indio credono che Sumé fosse andato da nord a sud, nella foresta, dissigillando la musica millenaria "Peabirú", in lingua tupi-guarani, "O caminho da montanha do sol".

Lo storico Eduardo Bueno, che trascorse anni della sua vita passando le estati sulla spiaggia di Naugragados, a sud dell'isola di Santa Catarina, racconta che venne a conoscenza della musica leggendo l'avventura di Aleixo Garcia, il quale, dopo avere vissuto un periodo in quella spiaggia, fu informato dell'esistenza di una «strada indigena» che conduceva fino al Perù.

Dopo aver trascorso molte estati piovose contemplando il luogo da cui il bravo Garcia era partito nella sua epica giornata, Bueno decise di accompagnarlo, ma con il pensiero: «Mi immersi in tutte le fonti che portavano tracce del suo viaggio. Finzione non era. Tali fonti, per quanto, eventualmente, contraddittorie tra loro, erano della migliore qualità». Il riassunto più interessante della storia, dice, è quello che definisce Peabirú come «una ramificazione della maestosa Musica Inca, che legava Cuzco a Quito e, a sua volta, altra corruzione, di Apé Biru». In tupi guarani, Apé significa «cammino», o «musica», e Biru è il nome originale del Perù. Dunque, Peabirú significherebbe «Cammino per il Perù».

Vi erano tre entrate principali di questo cammino: uno, partendo da Cananéia (litorale sud di San Paolo) e, l'altro, dalla foce del fiume Itapucu, in prossimità dell'isola di São Francisco do Sul (litorale nord di Santa Catarina). Un terzo partiva da Praça da Sé, a San Paolo, continuava sulla destra, portava in Praça da República, saliva a Consolação, scendeva a Reboucas, incrociava il fiume Pinheiros e... arrivava in Perù. «Sto meditando sul perché ci hanno rubato il piacere di sfruttare questa storia a scuola», scherza Bueno. «Pensandoci bene, questo non fu l'unico piacere che ci sottrassero, non è così?».

Numerose volte interrogato in merito, Zé Ramalho affermò che «non c'è più da dire sull'argomento Paêbirú», per lui considerato chiuso. In alcune interviste, intanto, confronta Paêbirú con Tropicália. Uno dei commenti è sullo stile artigianale «come fosse confezionato a mano» con cui l'album è stato realizzato.

Facciamo un'«audizione commentata» di Paêbirú nell'atelier di Lula Côrtes. Mentre pazientemente dipinge il quadro di un faro, mi spiega come è stata possibile (e praticabile) l'ingegnosa incisione del disco. L'album - doppio - è diviso in quattro lati, in accordo con gli elmenti Terra, Aria, Fuoco e Acqua.

In "Terra", il risultato "tellurico" è stato conseguito mediante l'uso di tamburi, flauti in sol e do, conga e sax alto. «Abbiamo simulato, mediante onomatopee, "uccelli del cielo", "passeri in volo" e abbiamo aggiunto il berimbau, oltre al tricórdio», racconta. Contrariamente alla pratica della «confezione vuota», la gamma di strumenti utilizzati è ampiamente descritta nella scheda tecnica di Paêbirú.

Effetti da studio, nemmeno a parlarne: «Solo persone, voci e strumenti», commenta il musicista. Certi effetti, come il crepitìo della foglia di un albero ds cocco, per esempio, sono stati in molti a ipotizzare fossero elettronici».

Sul lato "Aria", oltre a "conversazioni", "risate" e "sospiri", hanno scelto arpe e violini alti per brani come "Harpa dos hares", "Não existe molhado igual ao pranto" e "Omn". In "Agua", la musica reca sullo sfondo il suono dell'acqua corrente. Sullo stesso lato. canti africani, orazioni a Iemanjá e altre parti rappresentative di questo elemento. Nella più movimentata, il baião lisergico "Pedra templo animal", Lula Côrtes suona «trombe marine». Zé Ramalho guida l'okulelê.

"Fogo", come avverte il nome, è la faccia incendiaria di Paêbirú. Anche la più roccheggiante. Entrano suoni tonanti: il wha-wha distorto del tricórdio e la psicopatia dell'organo Farfisa in "Nas paredes da pedra encantada". "Raga do raios" si conserva, più di 30 anni dopo, come il miglior brano di chitarra fuzz incisa nel rock nazionale: «Chitarra portoghese elettrica & nervosa di Dom Tronxo», dice la scheda tecnica. Dove sarà finito Dom Tronxo?

La confezione sofisticata di Paêbirú è opera di Kátia Mesel. Oltre che designer, ha fatto la produzione esecutiva dell'album. «Più di 20 persone suonano nel disco, praticamente tutta la scena musicale pernambucana e buona parte di quella paraibana», enumera la regista.

Il disco è riuscito, secondo Kátia, perché è stato fatto con anima e creatività sciolte. «In uno studio di due canali, baby? Era il playback del playback del playback! Ci consolavamo: "Se gli Stones incidono in Giamaica su due canali, perché noi no?" In "Trilha de Sumé", Alceu Valença suona il pettine con la carta di cellophane. Il disco contiene queste finezze», scherza.

E' stato lo zelo di Kátia, in realtà, ad aver garantito il salvataggio di 300 copie di Paêbirú durante l'inondazione del 1975. Lei conservava parte delle stampe nella casa di Beberibe, dove la coppia abitava, il luogo in cui molti brani avevano preso gradualmente forma. «Fortuna che avevo lasciato i dischi all'ultimo piano. Sono questi che, attualmente, valgono una fortuna, là fuori, nel mondo», puntualizza Kátia.

Allora Ramalho praticamente abitava con la coppia nella casa di Beberibe. La concezione grafica dell'album è stata ottenuta dopo molte visite del trio a Pedra do Ingá. In verità, un quartetto, giacché il fratello di Kátia, il fotografo Fred Mesel, li seguiva in alcuni viaggi. «Io filmavo in Super8 e Fred scattava foto della pietra con pellicola a raggi infrarossi», racconta. La tecnica fotografica spiega la tonalità azzurro-limone della copertina e della parte interna di Paêbirú.

Speciale attenzione fu dedicata alla scheda tecnica. Nell'inserto centrale, le foto di tutti quelli che hanno partecipato alle registrazioni. Un dettaglio è che tutti i titoli sono stati montati a mano, uno per uno, con il letter set. La differenza è che, a questo livello, Kátia aveva più esperienza: oltre a Satwa, aveva prodotto il progetto dell'unico album di Marconi Notaro, "No sub reino dos metazoá-rios" (1973). «Per pubblicare Paêbirú abbiamo creato l'etichetta "Solar"», aggiunge.

Le sostanze psichedeliche, ovviamente, furono molto importanti durante il processo di composizione. A Lula Côrtes, intanto, soltanto la vicinanza alla Pedra do Ingá consentiva di sentire lo sciamanismo emanato dal monumento roccioso: «Consumavamo funghi più per "licenza poetica mentale"», giustifica l'artista.

Crosby, Stills and Nash, T-Rex, Captain Beefheart, Grand Funk Railroad e The Byrds erano i loro gruppi più gettonati all'epoca. A metà Anni 70, il maquillage del glitter rock era già indistinto e, negli Stati Uniti, il germe del punk affiorava nei buchi sporchi di New York. La disco music sperimentava i primi passi di danza. La psichedelia, nel mondo, era una cosa ultrapassata: si incapsulava nei remoti Anni 60.

Zé da Flauta aveva 18 anni quando conobbe Lula e Kátia. Nel periodo della dittatura la casa di Beberibe era il tempo della libertà e della controcultura. «Appresi molto sull'arte. Là si conversava su tutto, e si fumava molta marijuana», conferma Zé. Lui suonava il sax nella energica "Nas paredes da pedra encantada". «Non me ne sono mai dimenticato, inoltre fu la prima volta che entrai in uno studio e incisi come un musicista professionista».

Un altro a fare una «partecipazione lampo» fu il paraibano Hugo Leão, Huguinho. Veniva dai gruppi "The gentlemen" e "Os quatro loucos", nei quali Zé Ramalho suonava la chitarra. Ramalho lo chiamò per partecipare come tastierista per un «coraggioso progetto». Il suo contributo è immortalato nel disco. Vi sono riff di organo Farfisa in "Nas paredes...».Per suonare la batteria Ramalho reclutò Carmelo Guedes, altro suo compagno nei Gentlemen. La magia, ricorda Huguinho, cominciò appena entrati in studio. Le basi furono create lì per lì, in un attimo: «Inchiodai un tono maggiore: Mi! Il sogno era cominciato. I segreti di Pedra do Ingá, finalmente, sembravano essersi sbendati. La deriva sonora echeggiava nello spazio», osserva.

La mia giornata prevede anche una puntata nella capitale paraibana. A João Pessoa, Telma Ramalho, la figlia più giovane di Zé Ramalho, dice di non dimenticare un passaggio della preadolescenza: la mamma, Teresinha de Jesus Ramalho Pordeus, insegnante di storia, conversava con il nipote nel suo studio: «Zé le raccontava come procedevano le registrazioni di Paêbirú". Un ricordo vivo è avere ascoltato il disco a 12 anni:« Non ci capivo nulla. Mi ricordo soltanto di "Pedra templo animal" e di "Trilha de Sumé" come quelle più pop», afferma divertita.

Un altro ricordo è la presentazione di una replica di Pedra do Ingá alla fiera delle scienze della scuola. La colonna sonora era Paêbirú. «Portai il giradischi e misi il disco». Telma fa una rivelazione contundente: «Avevo casse di Paêbirú in casa. Una vera fortuna culturale e finanziaria».

Per Cristhian Ramalho, figlio di Zé Ramalho e affiliato di Lula Côrtes, anche Paêbirú aveva un significato speciale: «Mio padre mi portava a Pedra do Ingá quando ero piccolo. Ci andava per trovare l'ispirazione. Senza dubbio, dice Cristhian, Paêbirú e la Pedra esercitano ancora influenza sulla sua opera. «Nel 1975 scrisse una poesia molto bella, che dice: "Vengo da una di queste pietre rotanti". Vi fu, da parte sua, un grande misticismo, tutto canalizzato sulla mia nascita», racconta, orgoglioso, il figlio.

Una delle persone che, all'epoca del lancio, acquistarono l'album fu l'architetto Terêsa Pimentel. A 14 anni, nel 1974, non sapeva certo che cosa voleva dalla vita. Nonostante ciò, sapeva «ciò che non voleva». «Ascoltavamo i musicisti locali: Ave Sangria, Marconi Notaro, Flaviola & O Bando do Sol, Aristides Guimarães, l'udigrudi nordestino. Vendetti la mia bicicletta Caloi verde acqua per comprare Paêbirú. Oggi sono felice di aver venduto la bicicletta e di essere stato adolescente in quella atmosfera», racconta. Terêsa è la sorella di Lenine, a cui Lula Côrtes offrì la sua ultima copia di Paêbirú qualche anno fa. «Per ricavare qualche campionatura», dice Lula.

Da Jabotão dos Guararapes io e Lula ci dirigemmo verso la casa di di Alceu Valença, nel centro storico di Olinda. Lula bussa alla porta del casone. E' festa quando Valença incrocia nell'ampio cortile per salutare Lula, vecchio compagno in "Molhado de suor", uno dei suoi primi dischi.

«Abbiamo suonato in "Danado para Catende", che poi si trasformò in "Trem de Catende"», racconta Alceu. «Fino ad allora Lula componeva soltanto, ma non cantava. Disse la capo del personale della Ariola: «Quel tale è il massimo!». Nella casa discografica nessuno aveva la minima idea di chi fosse quel tale, molto meno chi avesse fatto un lavoro come Paêbirú».

Appresero, intanto, che l'album "Gosto novo da vida", di Lula Côrtes, fu premiato come «la migliore vendita dell'anno dell'etichetta Ariola», nel 1981. In tre mesi ha venduto 32mila copie. Poi la sua riedizione fu impedita a causa di un processo intentato dalla Rozemblit che accusava del plagio di un brano.

«E' stato il primo artista che vidi fumare sul palco, al Teatro João Alcântara», afferma Alceu. Entrambi ridono. Lula accende un cigaro. «Ho partecipato a Paêbirú. Ci ho fatto qualche urlo», sintetizza Alceu. «Era un'orazione in "Não existe molhado igual ao pranto"», corregge Lula. «Lo studio di Rozemblit aveva un'acustica meravigliosa. Era l'ambiente più naturale possibile: arrivai e mi distesi in un angolo. Il gruppo suonava. Insonnolito mi stiracchiai: "Ommmmmmmm..."». «Fu come un mantra. Quando Alceu cominciò, tutto veniva dopo e non finì più», conclude Lula.

E' in questa tradizione di «spirito libero» che Paêbirú fu realizzato. Nel testo omonimo - una rarità dattilografata che si nota soltanto all'interno degli Lp sopravvissuti alla ingestione di funghi colti durante il cammino -, Lula Côrtes ci dà un'ultima idea della grande avventura che fu Paêbirú:

«Noi cacciavamo il passato, e i cuori si riempivano di speranza con quella visione. Il cammino che ci siamo lasciati alle spalle era quello della Pedra de Fogo, altro piccolo agglomerato quasi senza nessuna possibilità di vita. L'acqua è molto scarsa. Conversavamo sulle pietre. E laggiù, all'orizzonte, il lombo argentato di Borborema disegna curve lievi, dimostrative della sua immensa età. I nativi avevano mappe sui visi, il sole illuminava loro le labbra come fessure nella terra, le pietre dure e affilate che rendevano difficile il cammino, indurivano il loro sorriso. L'informazione sembrava essere corretta. Trovammo il torrente e accompagnammo il senso. L'acqua era chiara e abbastanza salata. L'irreale prese possesso sempre più dei nostri corpi e menti, e la leggenda intera che ci aveva riempito le orecchie, fino a quel giorno, sembrò fiorire di tutto».

Copyright Rolling Stone Brasil - "Osservatorio Brasile"

*Literalmente, é uma viagem ver um texto seu - sobre Paêbirú (álbum louco até pra quem é brasiliani) - traduzido para o italiano (!).

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